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Colloquio familiare, cosa e perché?

Carmen De Grazia / Articoli / / 0 Commenti / 1 like
ragazza con vestito turchese vista di schiena immersa in una lavatrice

Il mio psicologo ha invitato i miei familiari a una mia seduta che generalmente si svolge in individuale, che cosa gli chiederà? Come si svolge generalmente un colloquio familiare?

 

A volte le persone a cui chiedo di portare i loro familiari in terapia si sentono un po’ spiazzate. Potrebbero temere una sorta di invasione di campo oppure hanno paura che i loro genitori si sentano giudicati come delle figure negative, colpevoli del disagio che ha portato il figlio in terapia. Molto spesso sento la frase “mi farebbe strano averli qui”.

Quando chiedo che fratelli, mamma o papà (o perché no, tutti insieme) si aggiungano saltuariamente al percorso di psicoterapia, è prima di tutto perché il mio approccio teorico di riferimento, la scuola in cui mi sono formata, lo suggerisce caldamente. Si tratta della Scuola Mara Selvini Palazzoli a indirizzo sistemico-familiare. La persona in questo approccio non è vista come un individuo svincolato dai suoi affetti, ma come parte di un tutto, di un contesto più ampio, motivo per cui chiedo sistematicamente a tutti di includere, anche solo con l’immaginazione, i propri cari. Che poi c’è chi preferisca ritardare o evitare questo incontro è un altro discorso, ma fosse per me lo farei sempre, rispetto però le resistenze più che naturali che incontro. Noi terapeuti sistemici riusciamo a capire meglio la sintomatologia, le preferenze, la personalità della persona che seguiamo grazie alla testimonianza e alla lettura che i suoi familiari ne fanno.

Quando siamo stati formati in terapia familiare, noi stessi abbiamo portato i nostri familiari in terapia, con tutto il bagaglio di complessità che ne consegue e abbiamo quindi molto a cuore che tutti i membri della famiglia si sentano a proprio agio, proprio perché ci siamo passati anche noi.

Una volta rotto il ghiaccio la prima cosa che faccio è quella di presentarmi, di spiegare perché ho chiesto la loro presenza e intavolo un colloquio che verte sul motivo della terapia in origine. Ribadisco l’importanza di darmi dei feedback e di sentirsi liberi di scegliere i temi della seduta.  Riconosco che sono una perfetta sconosciuta e che non abbiamo ancora “legato” come potrebbe averlo fatto loro figlio/a. Tutto voglio tranne che si sentano sotto interrogatorio, anzi c’è massimo rispetto per quella che solo loro possono capire veramente e fino in fondo: la vita di loro figlio/a, le gioie e i dolori, alti e bassi di un lungo percorso, traslochi, migrazioni, lutti, fallimenti, ma anche sogni, svolte, atti di coraggio. I familiari sono i testimoni di un percorso che inizia molti anni prima dell’arrivo dello psicologo, rappresentano quindi una chiave d’accesso molto preziosa.

Qui di seguito alcune domande che potrebbero emergere:

Siete al corrente dei motivi che hanno spinto vostro/a figlio/a a chiedere un supporto psicologico?

Come avete accolto la sua richiesta inizialmente? Cosa ne pensate?

Vi va di raccontarci la sua storia dall’inizio? Com’è nato il desiderio di quella gravidanza ed eventualmente delle altre, se ce ne sono state? La gravidanza, il parto e l’allattamento si sono svolti con un giusto sostegno da parte dell’entourage? Che neonato/a era? Aveva già il carattere che vedete oggi o lo/a vedete cambiato/a? Ha fatto fatica a staccarsi per andare all’asilo? Ricordate se era più concentrato ad imparare nella sfera del linguaggio o della motricità? A scuola cosa ne dicevano gli insegnanti? Come vivevate la sua socialità? Se ci sono fratelli o sorelle, come è cambiato negli anni il loro rapporto? Ci sono altri eventi significativi che meritano attenzione a vostro avviso?

Quando si trattava di prendere delle decisioni in ambito educativo, dei due genitori ce n’era uno più permissivo e l’altro più autoritario, ad esempio? Come vivevate queste naturali differenze di stile educativo?

Quando avete iniziato a notare che aveva qualche difficoltà in ambito evolutivo o nella sfera emotiva? Teneva tutto dentro o ve le esponeva? Vi ricorda qualcuno della famiglia?

In che modo pensate che questo suo percorso di crescita, di evoluzione nonostante la difficoltà possa rappresentare un’occasione sia per lui/lei che per voi? 

Se dovessero esserci degli assenti durante questo colloquio (della famiglia nucleare, ma anche altre figure importanti di riferimento), cosa direbbero qui oggi secondo voi?

Durante il colloquio cerco di mettere ognuno nei panni dell’altro, non solo i genitori in quelli dei figli, ma anche l’inverso, non per responsabilizzare i membri, ma per aiutare le diverse generazioni a guardare le cose da un altro punto di vista. Se uscendo dal colloquio ognuno può avere dentro di se una consapevolezza nuova, una sorta di “non l’avevo mai vista così, non ci avevo mai pensato”, reputo raggiunto l’obiettivo di questa riunione.

Buon colloquio familiare a tutti!